Per governare bisogna comprendere e guidare ognuno dei governati – Parashat Pinchas

La successione a Mosh? nella leadership di Israele ? il tema centrale di questa parash?. Mosh? sa che sta per morire e chiede a Dio la scelta di un successore che guidi il popolo quando egli non ci sar? pi?. ?E rispose Mosh? all?Eterno: Designa o Eterno, Dio degli spiriti di ogni carne, un uomo che diriga la congregazione, un uomo che possa portarla, accompagnarla e condurla, perch? il popolo di Israele non resti come un gregge senza pastore.?

Mosh? non si preoccupa per se stesso ma per il popolo, gli d? angoscia la possibilit? che esso si ritrovi senza un leader che lo possa guidare. Mosh? conosce il popolo, lo ha guidato per quaranta anni. Adesso prega Dio di scegliere, in vita, colui che gli succeder? in questa missione tanto difficile. Mosh? vuole partecipare alla scelta del nuovo leader, vuole assicurarsi che si tratti di qualcuno che sia adatto alle necessit? del popolo, vorrebbe poterlo istruire e prepararlo, affinch? l?immane sforzo compiuto in tutti questi anni non sia stato vano e non se ne perdano i risultati a causa di qualcuno non idoneo a proseguire il cammino intrapreso.

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Parashat Vaichi -La parash? dei nonni e dei nipoti

di Rav Pinchas Punturello

Una delle cerimonie domestiche del venerd? sera, per l?inizio di Shabbat, ?? la benedizione che i genitori impartiscono ai figli prima o dopo il kiddush, a secondo degli usi.

VAIECHI

Le parole con le quali i figli sono benedetti sono prese in prestito dal Libro della Genesi 48,20 per i figli maschi, mentre per le ragazze richiamano i valori delle nostre madri, Sarah, Rivka, Rachel e Leah e per tutti la benedizione si conclude con le parole della triplice birkat cohanim, invocazione sacerdotale, che ritroviamo in Numeri 6, 24-26 e che affermano: ?Il Signore ti benedica e ti protegga, il Signore faccia risplendere il Suo volto su di te e ti conceda grazia, il Signore rivolga il Suo volto su di te e ti conceda pace.? La benedizione sacerdotale non ha bisogno di commenti, contiene in s? ogni possibile aspirazione di un genitore verso i propri figli e per questo, questa stessa benedizione, accompagna quotidianamente e per le feste il rito pubblico delle preghiere.

Ma cosa dicono e chi ha pronunciato le parole contenute in Genesi 48,20? ?Che tu possa essere come Efraim e come Manasse.? E? questa non la benedizione di un padre, bens? quella di un nonno, Yaakov, per i nipoti, i figli di Giuseppe, il figlio di Yaakov che era stato venduto come schiavo dai suoi fratelli, vivendo gran parte della sua vita in Egitto lontano dalla famiglia ebraica, sia lui che i suoi figli, Efraim e Manasse. Yaakov prima di morire e di impartire ad ognuno dei suoi figli una benedizione specifica e particolare, chiede a Yosef, il figlio prediletto ed il primo figlio della sua amata moglie Rachel, di presentarsi a lui con i suoi figli, i nipoti che lui non ha potuto educare secondo i valori di suo padre Isacco e di suo nonno Abramo. E? significativo che alla vista di questi due ragazzi presumibilmente ?egiziani? Yaakov chiede a Yosef: ? Questi chi sono?? (Genesi 48,8) Come a dire chi sono questi due ragazzi? A che cultura appartengono? Come li hai cresciuti? Risponde Yosef: ? Sono i miei figli che Dio mi ha dato qui?. E Rashi facendo un bel volo pindarico interpreta la frase di Yosef come se egli stesse dicendo: ?Sono i figli che Dio mi ha dato con questa? che ? il senso letterale del versetto in ebraico, dove ?con questa? viene interpretato da Rashi come: ?Con questa ketubb?, con questo documento matrimoniale? Come a dire che i suoi figli, seppur in Egitto e seppur in un contesto non ebraico, erano nati da una unione che ebraicamente esprimeva dei valori. Yaakov vuole per? rinforzare questi valori e decide di inserire i suoi nipoti all?interno del proprio clan patriarcale, non come nipoti, ma come figli: ?Questi tuoi due figli che ti sono nati nella terra d?Egitto prima che io venissi sono miei.? Cos? dice il patriarca a Yosef, esprimendo, da nonno, la preoccupazione che questi nipoti cresciuti lontani da lui sentano un legame meno forte con il loro retaggio ebraico, con il monoteismo, con il messaggio spirituale ereditato dai Padri. Questa di Vaichi ? una parash? che parla di nonni e nipoti. Di nonni e nipoti ebrei nello specifico. Di nonni ebrei che si impegnano in prima persona per avere nipoti ebrei, non soltanto nominalmente, come sembra suggerire l?intervento di Yosef che mostra ?documenti?, ma realmente, con una benedizione, con un gesto educativo, con il senso di una trasmissione millenaria. ? significativo che a sentire questa esigenza sia il patriarca Yaakov, colui che ha avuto tutti figli che hanno continuato la strada paterna della fede monoteistica ed ebraica. Il patriarca che con il cambio di nome da Yaakov in Israel dar? il nome al nostro popolo ed alla nostra terra, lui che ebbe non solo tutti i figli, ma anche i nipoti ebrei, segnando per sempre quello troveremo scritto nel Qohelet, nell?Ecclasiaste: ?Il filo a tre capi non si spezza mai.? (Ecclesiastes 4,1) Dove, ovviamente, i fili sono le nostre generazioni, i nostri valori trasmessi per tre volte, da nonno a nipote, unica specie vivente, la nostra, dove i nonni possono e devono comunicare con i nipoti.

Uno shabbat con il gelato al basilico.

ImmagineIn Calabria, lo scorso Shabbat, ho mangiato un gelato al basilico. Non chiedetemi ricette perch? non potrei n? saprei darne e non ? questo un blog di cucina ebraica. Ma allora perch? citare la presenza del gelato al basilico durante lo Shabbaton calabrese? Perch? forse quell gelato pu? diventare uno strumento interpretative delle nascenti realt? del Sud.

Di fatto un gelato al basilico farebbe pensare a qualcosa di dolce, ad una sorta di fusion tra una crema classica da gelato ed un’aroma al basilico. Sappiate che il gelato al basilico non ? dolce, non chiude la fine del pasto e quindi non ? ci? che ci aspettiamo sia. Un p? come il Sud Italia, storicamente considerato senza presenza ebraica a seguito delle Espulsione Spagnole ed invece in questa generazione ci reserva non poche soprese.

Un gelato al basilico va mangiato con una mozzarella o dei pomodori, come una sorta di gazpacho freddo che condisce ed accompagna piatti estivi. Si tratta di fatto di un esperimento culinario che azzarda l’idea della temperatura ma non quella della composizione dei piatti o dell’abbinamento dei sapori.

Ed anche questo ricorda i piccolo nuclei ebraici del Sud che azzardano l’osservanza delle mitzvoth, Shabbat, kasherut ed altro, nei piccolo numeri e nella lontananza dalle Comunit? ma non stravolgono lo Shabbat o la sua sacralit? trasformandolo in qualcosa di esotico e na?f e non mischiano sapori identitari con altri elementi non ebraici o ebraicamente discutibili.

Il gelato al basilico ? fatto con il basilico. Un prodotto locale, mediterraneo, comune, quasi ovvio. Ovvio come un commento di Rashi, il grande maestro medioevale, che ha insegnato il senso profondo di ci? che abbiamo sempre sotto gli occhi, i versetti del pshat, del senso comune, della lettura pura e semplice della Tor?. Un basilico che ? presente in tutto il Sud Italia, come la antica presenza ebraica, ma che solo la coscienza identitaria e la volont? di ritorno e di teshuv? (seria) possono trasformare da retaggio in quotidiano. Per questo motive ormai non ha pi? senso continuare a ripetere che il 40% per cento dei Siciliani ha radici ebraiche e lo stesso vale per la Calabria, la Puglia, la Campania. Sarebbe come dire che nel Sud Italia c’? il basilico. Certo che c’? ma portarlo nel 5773 in maniera sana e consapevole significa trasformarlo in gelato salato da mangiare con i pomodori.

A volte l’ovvio ? straordinario, come un gelato al basilico mangiato con i pomodori coltivati a Palmi o Vibo Valentia, come uno Shabbat in Calabria, come un commento di Rashi che vide la sua prima stampa in italia il 18 febbraio del 1475 a Reggio Calabria. Il futuro ha sempre radici antiche.