Parash? Tzav – Un fuoco perpetuo

Parash? Tzav – Un fuoco perpetuo

Leggiamo nella parash? di questa settimana che un fuoco perpetuo doveva bruciare sull?altare e non doveva mai spegnersi ( Levitico 6,6). Ovviamente non stiamo parlando di un fuoco qualunque ed il Talmud ci insegna che le fiamme avevano la forma di un leone e brillavano come raggi di sole (Yoma 21b). Secondo il Midrash questo fuoco ha bruciato ininterrottamente per 116 anni e non ha mai causato danni agli utensili sacri del Tempio o al legno dell?altare. Un fuoco naturale al di l? della natura che era capace di bruciare, ma non incendiare, di consumare ci? che andava consumato, come la carne dei sacrifici, senza creare danni collaterali.

Un fuoco perpetuo che traducendo la Tor? in italiano siamo portati a vedere come una fiamma che bruciava sull?altare, ?in esso?, ma che pu? anche essere visto come un fuoco che bruciava in ?lui? cio? all?interno della persona del kohen. Un fuoco che quindi bruciava nel ruolo del kohen, bruciava all?interno della sua consapevolezza del ruolo sacro che aveva per se stesso e per il popolo ebraico, un fuoco che allo stesso tempo era identit? viva, ininterrotta ed azione vitale. Un fuoco che significava la capacit? di rinnovare quotidianamente il senso del sacrificio, della ritualit?, facendo in modo che non diventasse mai uno sterile rito quotidiano, proprio perch? il kohen aveva la consapevolezza del calore di quello che faceva e della luce brillante, Superiore, alla quale si riferiva.

Un fuco che brucia per 116 anni ? il miglior antidoto per comprendere che al di l? della precisione del rito esiste la nostra relazione con Dio che nel rito deve trovare il proprio spazio di espressione e non il proprio limite.

Parashat Tzav – Riconoscenza e gratitudine

La seconda parash? del libro Vaikr? abbonda di regole circa le offerte e i sacrifici che avrebbe dovuto compiere il popolo di Israele all?interno del tempio costruito a Gerusalemme, il Bet HaMikdash. Nel frattempo le offerte sarebbero state compiute nel Mishkan, il Santuario che viaggiava insieme con il popolo lungo tutto il percorso che lo avrebbe condotto alla terra promessa.

?Un uomo che porter? una offerta?: in questo modo comincia uno dei comandamenti di questa parash?. E? l?uomo, in maniera esplicita, colui che porta una offerta. Non ? possibile portare una offerta a Dio se prima non si ? ?un uomo? completo. I sacrifici non sono di per s? sufficienti per avvicinarsi a Dio, se l?uomo, il tipo di uomo che in yiddish si chiama ?mentsch?, non ? degno di offrire un sacrificio al Creatore. A sua volta il versetto sembrerebbe insegnarci che la persona riesce a raggiungere la sua condizione di ?uomo?, ?menstch?, solo quando apprende e fa propria l?attitudine al sacrificio. La Tor? ci insegna in questo modo che il ricevere, il sacrificare, il dare, il donare, il rinunciare sono le vie per rendere completa la nostra condizione umana.

La nostra parash? ci parla in particolar modo di una specie singolare di sacrificio: il korban tod? o offerta di gratitudine. Questa offerta veniva presentata a Dio in una vasta gamma di occasioni, sia in contesti di salvezza fisica, quando ci si trova in un rischio mortale, sia a titolo personale, dopo un parto e dopo una nascita, che comunitario.

Read more