Preparativi per Sukkot!

Preparativi per Sukkot!

Come ogni anno, anticipiamo l’inondazione di foto che ci sommerger? da tutto il mondo con immagini delle celebrazioni di Sukkot.

Costruendo ognuno la propria ed unica sukk? (capanna temporanea per celebrare la Festa delle Capanne) e preparando le quattro “specie” (mirto, cedro, ramo di palma e salice) ogni famiglia ebraica ricorda cos? l’esilio del nostro popolo nel deserto prima di entrare in Terra d’Israele.

Ecco le prime foto in arrivo!

Cracovia, Polonia

Nell’ambito delle preparazioni, il nostro emissario Rav Avi Baumol ha visitato la sinagoga Isaac di Cracovia per incontrare i bambini del Frajda – JCC, parlando del significato delle mitzvot nell’ebraismo, come coprirsi la testa con la kipp?, indossare il tallit, appendere la mezuz?, costruire una sukk? ecc. Anche Rav Eliezer Gurare era presente e ha parlato di cosa sia casher e cosa no.

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Una Capanna per sapere.

La Festivit? di Sukkot rompe con una espressione di originalit? il rischio di una identit?, quella ebraica, che troppo spesso viene fatta combaciare con il mantra del ricordo.

In Levitico 23, 44, parashat Emor, ? scritto: ?Abitere in sukkot ( capanne) per sette giorni?affinch? sappiano i vostri discendenti che feci abitare in sukkot i figli di Israele??. Chiaramente il Soggetto parlante in questo caso ? l?Onnipotente, ma perch? usa l?espressione ?sapere? e non ?ricordare?, come per le altre festivit? come per esempio Pesach?

Proviamo ad analizzare una discussione talmudica rispetto alla Sukk?. ?Una sukk? pi? alta di venti amot ? da ritenersi invalida, per quale motivo? Insegna Rava perch? ? scritto ?affinch? sappiano i vostri discendenti che feci abitare i figli di Israele in sukkot?. Fino ad un?altezza massima di venti amot una persona sa di vivere in una sukk?, sopra le venti amot, nessuno si accorge di vivere in una sukk?, perch? l?occhio non ci pone attenzione.? ( Sukk? 2a)

Il ?sapere? del versetto della Tor? diventa nella discussione talmudica consapevolezza: una sukk? eccessivamente grande non permette all?uomo che dimora al suo interno di avvertire il senso della mitzv?, la sua pregnanza educativa, la sua importanza. In altre parole: una sukk? eccessivamente grande non educa perch? non avvolge l?uomo con la sua struttura, diventa una maestosa assenza di consapevolezza, pur nella validit? del ?ricordo? della festa. Ma il ricordo non basta. Se noi avessimo seguito la logica degli eventi storici avremmo dovuto festeggiare Sukkot a ridosso di Pesach, ricordando le prime tappe del nostro peregrinare nel Deserto. In quel caso per? il ricordo avrebbe avuto un legame logico con il clima perch? ? normale in una cultura agricola uscire verso la campagna con l?inizio dell?estate e proteggersi dal sole con capanni ombrati. Sukkot non vuole offrirci il mero ricordo di ci? che fecero i nostri padri e non ci propone un modello museale come elemento identitario. Non si tratta di conservare con cura le foto di famiglia, dobbiamo comprendere per sapere cosa e chi siamo e sopra ogni cosa per capire come portare avanti il messaggio del nostro passato, sia esso una foto di inizio secolo o una Sukk? di tremila anni fa.

Usciamo dalle nostre comode case in un momento climatico di confine, tra estate ed autunno, di contrasti tra caldo e fresco, tra sole e nuvole che si sperino portino una pioggia ?di benedizione alla fine della Festa di Shemini Atzeret. Usciamo verso i confini dell?interno e dell?esterno, verso i limiti di una capanna che ? aperta agli altri ma ha anche dei confini, usciamo portando con noi elementi del nostro interno vivere, del nostro interno sentire. Questa ? la sfida di Sukkot: sapere tutto questo, saperlo ereditare dal passato, saperlo portare avanti nel futuro.

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