Numeri, 30, 2-3 ??Poi Mos? parl? ai capi delle trib? dei figli d’Israele, dicendo: ?Questo ? ci? che l’Eterno ha ordinato.
“Quando uno fa un voto all’Eterno o contrae un’obbligazione con giuramento, non violer? la sua parola, ma far? tutto ci? che ? uscito dalla sua bocca.?
Per una generazione come la nostra dove la parola, nelle sue molteplici espressioni di suono cos? come di ?post?, di tag, di intervento, di dichiarazione sul web, ? decisamente un mezzo fuori controllo, queste parole del libro dei Numeri potrebbero essere una fonte di grande riflessione.
?Non violare la parola, fare ci? che esce dalla bocca, in definitiva controllare le nostre parole?: ccco il messaggio fondamentale del libro di questo versetto del libro dei Numeri. Controlla la tua parola. Cerca di essere consapevole delle parole che escono dalla tua bocca, dell?impegno che ogni tua parola esprime.
Proprio partendo da questa versetto e dalla sua interpretazione il rapporto tra l?Ebraismo e l?abitudine di compiere ?voti? ? sempre stata conflittuale ed in costante discussione. ?Meglio non fare voti che farne e non mantenerli?.( Kohelet 5, 4) Lapidario e netto il libro del Kohele, Ecclesiaste. Il voto ? un impegno espresso con la propria bocca, un impegno superfluo, non richiesto da Dio, una prova che personalmente ci imponiamo e che come tale deve essere portata a termine perch? espressa da noi personalmente in maniera del tutto slegata dalla volont? di Dio o dal senso di una mitzv? da Lui comandata.
Il Rambam, Maimonide in Hilchot Nedarim 13, 25 insegna: ?Colui che compie un voto ? come se costruisse un altare e se ha trasgredito ed ha fatto un voto per una mitzv? per ripagare il suo voto, faccia in modo che non ci sia di fronte a lui un ostacolo, di cosa si tratta? Nei casi di voti che vietano, ma nei casi di voti di santificazione ? mitzv? il mantenerli e non si pu? rimpiazzarli come ? detto: ? I tuoi voti all?Eterno manterrai.? (Deuteronomio 23, 22-23) Fare un voto significa ?costruire un altare? perch? le parole non sono solo pietre, sono anche mattoni e strumenti di creazione di realt?. Allo stesso tempo l?impegno di avere un altare privato non ? per tutti e pu? essere un rischio per la propria fede e la propria integrit? morale e per questo lo Shulchan Aruch, Yor? Deah, Hilchot Nedarim, 1-6, insegna: ?Non abituarti ai voti, bisogna stare attenti a non compiere nessun voto, anche colui che compie voti e li mantiene viene chiamato rash?, peccatore, ed anche la tzedak? sarebbe meglio non sottoporla a voti, ma ci? che ha nelle sue mani lo dia subito, e se non ha nulla non faccia voti, fino a quando non avr? da dare e se si stabilisce la tzedak? ed egli deve essere tra loro, che dica bli neder.?
Non abituarti ai voti, cio? abituati a misurare il tuo impegno e le tue parole ed il senso di ci? che ? vincolante per te e di ci? che non lo ?. In definitiva, quello che l?halach? ci vuole insegnare ? proprio il potere del voto, del neder, che come tale va rispettato e non trattato con superficialit? o leggerezza.
Scrive infatti il rav Steinsaltz: ?Nei voti e nelle consacrazioni vediamo che al di l? della forza della santit? e della forza del divieto abituale esiste anche la forza dell?uomo che pu? essere fonte per altre cose di una composizione di santit?. Da questo si rende chiaro che la santit?, kedusha, non ha un significato definibile e limitabile: esiste un tempo sacro, un luogo sacro, un popolo sacro, dato anche per noi esiste, in un certo qual modo la possibilit? di ampliare la santit? con le nostre forze.
La Parasha dei Nedarim ci racconta della forza dell?uomo di creare e di annullare la creazione. Nella forza dell?uomo esiste la possibilit? di creare un significato diverso per le cose, esiste la capacit? di estirparlo e di annullarlo. Ci sono stati coloro che hanno sostenuto che nella forza di santificare e fare voti esiste il legame con la santit? autonoma di Israele che deriva dal ?e sarete per me santi? Levitico 20, 26.
Ma di fatto la questione dei voti e della santit? non ? particolare solo per Israele ma deriva dalla creazione del mondo ad immagine di Dio ed anche i non ebrei fanno parte di questo concetto. ( Nazir 62 a) L?uomo pu? attribuire santit? alle cose perch? egli stesso fa parte della santit?. Con questa forza lui pu? fare ci? che apparentemente solo Kadosh Baruch Hu pu? fare.?
Un uso corretto della parola ci pu? rendere simili e vicini a Dio, un suo uso scorretto ci allontana dalla creazione in maniera totale.
Molto bello tutto questo: la parola come la voce credo sia una conseguenza della Creazione. In qualche modo Dio nel Genesi sembra parlare con la Voce e con gli Angeli dunque ci deve essere un legame tra la Parola Verbum (neder) la Creazione e l’l’impegno di Dio e l’uomo cio? la sua somiglianza. Questo legame tra Dio, le parole e le cose, sono la fonte prima di ogni percezione della sua Presenza, la Shekin?’.Che poi nel libro dell’Apocalisse di san Giovanni, questa forza creativa della parola sia quasi presso Dio quasi come fosse la sua voce, mi ha sempre lasciato stupefatto. L’impegno al voto ? cos? implicante che non farlo sarebbe meglio, perch? ci chiama a qualcosa di straordinario: la Responsabilit? verso Dio e gli altri, come in una immensa catena del Bene. Parlare del Bene ? saper parlare con estrema propriet?. Mi pare, ma non ne sono certo che Isidoro di Siviglia dica che l’angelo del linguaggio, della parola, ci annuncia anche la morte. La parola pu? annunciare la Vita ed ? la Benedizione, la Gloria di Dio, ma anche la Morte, che ? l’allontanamento da Dio e dal mondo, cos? come il Perfetto lo ebbe a creare. Opera immensa ed opera del Trono, della Maest? divina. In questo il Santo realizza la sua Benedizione. Sia Benedetto dunque il Santo dei Giorni. Sempre. Shalom.