Nella parasha’ di questa settimana affrontiamo la difficile mitzva’ della vacca rossa, l’animale le cui ceneri sarebbero servite per purificare coloro che si sarebbero trovati in un stato rituale di impurit? per motivi diversi tra i quali il lutto per un parente prossimo. I nostri maestri, codificando le mitzvot in mishpatim, precetti la cui logica pu? essere comprese e chukkim, precetti dogmatici di difficile se non impossibile comprensione, indicano questa mitzva come il chok per eccellenza. Se quindi ? difficile comprendere il precetto della vacca rossa nelle sua essenza, diviene ancora pi? difficile comprendere il meccanismo per il quale colui che purifica diventa impuro e colui che ? purificato diventa ovviamente puro. Come ? possibile che uno stesso rito renda puri ed impuri allo stesso tempo? Come ? possibile che si trasmetta uno stato di impurit? a chi non sta vivendo quella stessa realt? di lutto? Il passaggio tra le due diverse condizioni halachiche andrebbe cercato nel senso del rito e dell’impegno per la purificazione e quindi l’elevazione dell’altro. L’insegnamento del rito della vacca rossa trascende lo stesso rito e ci insegna che per educare, per trasmettere un messaggio, per far crescere la consapevolezza ebraica di un qualsiasi gruppo o una qualsiasi persona bisogna “rendersi impuri”, bisogna scendere ad un livello pi? basso per poter risalire insieme, bisogna andare incontro all’altro nel luogo impuro nel quale egli vive, comprendendo la sua realt? ed elevandola. Puro ed impuro non sono categorie morali, sono status tecnici che vanno affrontati nel loro tecnicismo perch? ebraicamente non ? mai esistita una connotazione etica rispetto a condizioni tecniche di ritualit? ed in nome di questo bisogna saper trasmettere un messaggio di crescita e miglioramento educativo.